La quadratura del cerchio, a 5stelle

votate-bene-picciotti

Riassumendo…

i grullini non sono fascisti, come i fascisti non sono mafiosi, e per chiudere il cerchio potremmo dire che i mafiosi non sono grillini ??

Ma questo percorso mentale è falsato dalla base di partenza, e non porta a nessun traguardo reale, facendoci perdere nella nebbia propagandistica e confusionaria creata ad arte per illudere i confusi e i distratti, oltre agli ignoranti storici e sociali.

Mafia e politica andranno sempre insieme, come al cesso, mano nella mano, due amiche sceme!

Le parole del rapper Marracash sono sante.

I cattivi per definizioni si mischiano continuamente con i buoni, almeno sulla carta, ossia le istituzioni. Fino a formare una strana amalgama che disorienta, dal momento che non si capisce dove finisce la mafia e dove inizia la politica.

Dopo questa premessa vediamo il rapporto tra mafia e fascismo:

la mafia non è fascista nel DNA, ma diventa alleata del fascismo quando il governo è fascista. Come diventa antifascista se invece il governo è antifascista.

Un organismo che vive in simbiosi con un altro organismo da cui trae nutrimento.

La mafia, per essere tale, deve controllare il territorio; ciò vuole dire necessariamente «fare politica». Per poter realizzare i suoi «affari» -che sono alla base della esistenza stessa di questo tipo di criminalità- deve instaurare rapporti con quella che viene definita «società civile» e con il mondo politico ed economico. I rapporti con la «società civile» del territorio controllato sono basati sulla forza attraverso la quale si ottiene l’omertà o anche il consenso. I rapporti politici ed economici sono fatti di legami palesi ed occulti, di scambi di favori, di controllo del voti, di minacce, di infiltrazioni, di condizionamenti. Quando i rapporti politici ed economici si rompono e gli apparati dello Stato combattono veramente la mafia, essa va in crisi perché incomincia e perdere il controllo dei territorio e quindi il consenso e l’omertà. La storia della mafia e del suo sviluppo è quindi, soprattutto, storia dei suoi legami con il mondo politico ed economico. Già nel primi anni dell’Unità d’Italia la Mafia ha i suoi legami con il potere politico ed economico, ma essi sono di sudditanza: il nobile o il borghese, con i voti dei mafiosi va a fare il deputato a Roma, mentre i mafiosi, con l’appoggio del nobile e del borghese, vanno a fare i consiglieri nei paesi della Sicilia. In quel periodo l’opera della mafia è essenzialmente legata all’agricoltura: impone guardiani nel campi, tangenti sulle greggi e, soprattutto, cerca di monopolizzare il controllo delle acque, indispensabili all’agricoltura stessa. Alle elezioni dei 1876 l’opposizione ottiene in Sicilia ben 43 deputati su 48 e c’è l’avvento al potere della sinistra, con il governo De Pretis, proprio grazie al voti determinanti dei deputati siciliani. Si comincia a dire che la vittoria della sinistra è stata agevolata proprio dal mafiosi e che con la vittoria della sinistra ha vinto l’opposizione mafiosa. «Nel 1895 (età di Giolitti) -scrive il giudice Rosario Minna in “Breve storia della mafia”- il generale Mirzi, su ordine del governo, parte da Palermo e va ad Alcamo per far scarcerare un mafioso la cui famiglia è essenziale per l’elezione a deputato dei candidato governativo». In Sicilia le elezioni tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 -anche se non esiste il suffragio universale- non hanno nulla di diverso da quelle dei giorni nostri: ciechi che votano, fucilate e attentati. Nel 1905, a Grammichele, la mafia spara sul contadini: 18 morti e 200 feriti. Tra la fine del ‘800 e l’inizio dei ‘900, vengono assassinati anche alcuni sindacalisti. Nel 1909 la mafia uccide a Palermo il poliziotto italo-americano Joe Petrosino impegnato in indagini proprio sulla mafia.

 

Inutile continuare con la cronistoria e le biografie, che potrete trovare su qualunque altro sito… se volete approfondire la conoscenza sul tema.

In caso contrario accontentatevi pure di quello che volete credere, ma evitate i tentativi per convincere gli altri che:

“la destra e la sinistra non esistono più”,

e che:

“la colpa è sempre di chi ha governato prima”,

oppure che:

“sono tutti corrotti, tranne chi dice ONESTA’ nelle piazze”.

Con gli slogan non si trasforma la realtà in un sogno, e non si rendono i sogni una realtà !!

 

Diceva Giovanni Falcone: «La mafia, è un fatto notorio, controlla gran parte dei voti in Sicilia. Il pentito Francesco Marino Mannoia ha parlato di decine di migliaia di voti sotto influenza nella sola Palermo. E le elezioni politiche del 1987 hanno peraltro messo in luce massicci spostamenti di voti nei seggi elettorali più significativi». Questo spostamento di voti «è stato provocato da Cosa Nostra per lanciare un avvertimento alla Democrazia Cristiana, responsabile di non avere saputo bloccare l’inchiesta antimafia dei magistrati di Palermo».

I voti sottratti alla DC -secondo Falcone- «sono confluiti verso quei partiti che avevano assunto una posizione fortemente critica nei confronti della magistratura: il Partito Socialista e il Partito Radicale». Sempre secondo Falcone, alla mafia i problemi politici «non interessano più di tanto fino a che non si sente minacciata nel suo potere o nelle sue fonti di guadagno. Le basta fare eleggere amministratori e politici amici e a volte addirittura membri dell’organizzazione. E ciò sia per orientare il flusso della spesa pubblica, sia perché vengano votate delle leggi idonee a favorire le sue opportunità di guadagno e ne vengano invece bocciate altre che potrebbero esercitare ripercussioni nefaste sul suo giro d’affari». E che i mafiosi sappiano bene quali uomini e quali partiti far votare lo dimostra questo quadro della collusione e dei rapporti politica-criminalità, riferito alla Calabria, tratto dal libro di Franco Martelli: «Scrivevano di don Mommo Piromalli i carabinieri di Gioia Tauro, in un rapporto del 1970: “Gode delle amicizie in seno al personale di governo, con i quali si mantiene in buoni rapporti e dei quali gode anche protezione (…)”. Tre anni dopo, nel corso di una perquisizione nella villa Piromalli, venivano trovati i biglietti da visita di alcuni deputati calabresi della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista». I De Stefano, in varie occasioni hanno fatto campagna elettorale per il PSDI; i boss mafiosi del reggino hanno fatto il giro della Calabria per un parlamentare democristiano; decine di mafiosi sono stati graziati al tempo in cui era sottosegretario alla giustizia un parlamentare repubblicano. Nel giugno 1980 «La DC al comune di Reggio ha presentato un cugino dei De Stefano (…) risultato al secondo posto fra gli eletti. Nel periodo elettorale, Paolo De Stefano, rimasto a capo della famiglia dopo l’uccisione dei due fratelli, aveva ottenuto la sospensione del soggiorno obbligato dovendo essere sottoposto ad un processo a Reggio. (…) Nella stessa occasione, di uguale trattamento ha goduto il boss di Rosarno Giuseppe Pesco, in permesso nel suo comune dove era attivamente impegnato nella campagna elettorale per il PSI. (…) Casi altrettanto clamorosi si sono registrati nel PRI che ha eletto alla Regione Pietro Araniti, cugino del boss Santo Araniti. (…) Sempre i repubblicani hanno fatto eleggere alla provincia di Reggio il genero di don Antonio Macrì, Pietro Ligato. (…) Il PSI, da parte sua, aveva candidato al comune di Montebello Ionico il latitante Paolo Fati, risultato poi primo degli eletti. L’infiltrazione non ha risparmiato in questi anni neanche il PSI».

 

E la storia continua e si ripete perpetuamente…