La “famiglia tradizionale” si difende da chi??

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Ci piacerebbe vedere i fan della famiglia protestare…

per la mancanza di asili nido e scuole, o chiedere uno stipendio per le madri con figli piccoli.

Allevare figli è un mestiere vero e proprio, l’unico che garantisce il futuro di una società. Eppure la mentalità dominante, soprattutto di una certa destra ultra-liberista, penalizza le madri nella loro carriera lavorativa.

Conosciamo tutti fin troppo bene l’atteggiamento di insofferenza nei confronti delle donne incinte, che prendono il congedo di maternità e che vengono considerate alla stregua di furbette, approfittatrici di un sistema sociale troppo generoso.

Generoso un bel niente nei confronti delle famiglie, prive di facilitazioni economiche, di aiuti per la casa, di assegni familiari che non siano elemosine, e di riconoscimento da parte di una società individualista, che ha come unica bussola il successo personale e l’astrusa efficienza economica. 

Il calo demografico italiano non è certo dovuto a una questione culturale ma a una vera e propria smobilitazione della società italiana nei confronti della famiglia. Nelle strade e nelle piazze, dove sabato hanno sfilato i manifestanti del family day, passeggini e carrozzine il resto della settimana non possono passare, perché spesso mancano i marciapiedi o sono invasi da auto in sosta.

Anche da queste piccole cose si vede l’attenzione di una società per la famiglia. Cosa fa la nostra società per mantenere vivo il legame fra bambini e nonni? Anche su questi rapporti si fonda la solidità della famiglia e la coesione del tessuto sociale.

I nonni sono abbandonati alle badanti, una figura che nell’Unione europea esiste solo da noi, perché in tutti gli altri paesi a noi comparabili è l’assistenza pubblica che si fa carico degli anziani, spesso anche a domicilio.

Quanti parchi attrezzati con giochi per i bambini possono contare le nostre città? Per non parlare di quei ristoranti dove ora si vieta l’accesso ai bambini, come se fossero cani.

Mentre i cani sono diventati membri della famiglia, per quel crescente numero di persone per i quali avere un figlio è un lusso, uno status symbol. Un segno di ricchezza, un bambolotto da ostentare, con i suoi corredini firmati, ma di cui non ci si occupa, perché educare è troppo faticoso, esige tempo, e comporta un senso etico che nella società del tutti contro tutti non esiste più.

Sembra che l’adozione del fantomatico figliastro sia il punto di non ritorno verso la disgregazione del nucleo fondamentale della nostra società. Una teoria già di per sé discutibile, perché la famiglia in Italia non è più quel che era cinquant’anni fa. Dimentichiamo che ci fu un tempo in cui la famiglia era una prigione da cui evadere, spesso sposandosi adolescenti per ritrovarsi nuovamente prigioniere del nuovo capofamiglia, e le volontà dei suoi membri completamente soggiogate all’interesse del gruppo o del capostipite.

Si pensi alle donne mussulmane ancora oggi segregate e obbligate a sottostare al volere dei loro padroni maschi, anche nel nostro paese. È famiglia anche questa e non è lontano il tempo in cui anche le cattolicissime donne italiane erano trattate allo stesso modo. La famiglia è stata per molto tempo solo uno strumento di sopravvivenza per le donne.

Oggi spesso la famiglia riguarda una parte molto limitata della vita di ognuno di noi. Ma anche supponendo che la famiglia resti davvero la chiave di volta della nostra società, ci sono ben altri ostacoli che essa incontra nella quotidianità, contro i quali nessuno alza un dito, ancor meno i sostenitori del family day.

In questo desolante scenario le proteste per impedire l’adozione di un figlio da parte di una coppia omosessuale suonano a dir poco ipocrite.

Sarà invece fortunato quel bambino che troverà due persone disposte ad allevarlo e a volergli bene, anche contro l’ostracismo di chi finge di difendere la famiglia e invece ne ostacola l’evoluzione verso le nuove forme che la modernità rende necessarie.